“Una famiglia quasi normale” è una miniserie di produzione svedese, composta da 6 episodi e disponibile sulla piattaforma Netflix.
Lo sceneggiato è ambientato a Lund, nel sud della Svezia, e narra la tragica storia di una famiglia apparentemente perfetta ma che cela risvolti drammatici, fatti di bugie, tradimenti e dolore.
Un po’ di trama…
La famiglia Sandell sembra quella della Mulino Bianco: il padre Adam, pastore evangelico, e la madre Ulrika, avvocatessa e insegnante all’Università, hanno completato il loro quadretto familiare idilliaco con un’unica figlia, Stella.
Quando Stella ha 15 anni, però, durante un raduno della squadra di pallamano di cui fa parte, subisce uno stupro da parte di un ragazzo più grande.
I genitori decidono di non denunciare l’accaduto alla polizia convinti di fare il bene della figlia (evitandole incresciosi interrogatori e beghe processuali che finirebbero ineluttabilmente con la proclamazione dell’innocenza del colpevole e con un suo trauma ancora più profondo…).
Passano 4 lunghi anni, Stella non ha completato gli studi liceali e lavora come barista in una caffetteria: la madre, delusa dal marito e dalla figlia, è alcolizzata e intrattiene una relazione clandestina con un amante, il padre sa tutto ma vive nella passività sia nei confronti della moglie che della figlia, continuando un ménage familiare destinato tragicamente a spezzarsi per sempre; su tutti loro pesa come un macigno quella denuncia non fatta, tanto che nessuno ha mai più affrontato l’argomento.
Tutto fila nell’incomunicabilità e nella monotonia, finché Stella, disinvolta, ribelle ma, ahimé, irrimediabilmente instabile, conosce Christoffer Olsen, un giovanotto di 32 anni arricchitosi in maniera spesso al limite del lecito grazie agli investimenti nelle criptovalute; solamente 6 settimane dopo quel fatale incontro, Stella viene arrestata per l’omicidio dell’uomo. La famiglia Sandell si trova di fronte a un bivio: affrontare il proprio passato, salvare Stella anche a costo di sforare nell’illegalità oppure accettare, come quattro anni prima, il proprio infausto destino?
Un po’ di opinioni random…
Con “Una famiglia quasi normale” ci troviamo di fronte a un “prodottino” fabbricato ad arte per intrattenere senza far porre troppe domande all’utente medio.
Invece io, purtroppo, alcune domande me le sono fatte e, sinceramente, ho trovato risposte deludenti.
Partiamo dai buchi di trama che sono diffusi qui e lì all’interno della serie tv: il personaggio di Chris è costruito malissimo, dovrebbe rappresentare la parte malvagia del racconto e, invece, almeno fino all’ultima puntata, sembra il fidanzatino ideale che mammina vorrebbe per te, l’escamotage del processo è davvero farsesco a meno che la giustizia in Svezia non sia davvero così ridicola (e qui alzo le mani…); due giorni dedicati al processo, solo due testimoni per la difesa, l’avvocato difensore che dice in tutto tre parole (e viene definito da Ulrika “il miglior avvocato di Lund”) e non fa la minima obiezione anche di fronte a quelle che sono vere e proprie congetture del procuratore, il finale che, a mio avviso, lascia l’amaro in bocca e non desta il minimo stupore o spaesamento.
Nonostante io abbia visto la serie doppiata in italiano, potrei anche argomentare sulla pessima recitazione dei protagonisti: tutti i personaggi dovrebbero essere densi di chiaroscuri e, invece, sono monoespressivi, di fronte alle tragedie rispondono o piangendo o con la poker face (soprattutto Ulrika), Stella, che dovrebbe rappresentare la prova attoriale più complessa, è semplicemente fastidiosa nei modi e nel suo increscioso comportamento da figlia viziata che di fronte al regalo di un motorino nuovo fiammante si incavola perchè “voleva soldi per il suo viaggio non un motorino”.
Certo, l’immagine della famiglia è proprio quella odierna: disfunzionale poiché votata al consumismo, ai silenzi, ai tradimenti, alla totale incomunicabilità e credo che in Svezia, uno dei paesi paladini del politically correct a tutti i costi e della facciata, il problema sia ancora più grave che in Italia.
Ecco, questo film (strano ma vero) mi ha resa orgogliosa di essere italiana, ma forse non doveva essere quello il suo obiettivo: orgogliosa perchè le arringhe degli avvocati in Italia hanno pathos, il PM e la difesa si alzano in piedi, lottano per i loro assistiti con le unghie e con i denti e pochi processi terminano con un freddo “non si può condannare oltre ogni ragionevole dubbio”, noi italiani il dubbio lo creiamo sempre e diamo spessore a tutto ciò che facciamo, diamo l’anima, accidenti!
“Una famiglia quasi normale” è un ritratto di una società che l’anima l’ha perduta da un bel po’ e, sebbene l’effetto intrattenimento sia assicurato, lo sceneggiato non offre il minimo spunto di riflessione servendo la verità su un piatto freddo, di poco interesse per chicchessia.
Tra il libro e il film ho sempre preferito il libro, per questo cerco sempre di guardare serie tv con sceneggiatura originale. Più son truci e meglio è, perché l'unico modo per combattere il Male è attraverso la sua conoscenza. Se mi cercate, non mi troverete mai al cinema nelle sale dei film strappalacrime. Molto meglio gli horror e tanti, tanti pop corn!