Un gentiluomo a Mosca, tratto dall’omonimo romanzo di Amor Towles e arrivata il 17 maggio su Paramount+, è una serie drammatica ambientata in uno dei periodi più tumultuosi della Russia.
La storia comincia nei primi anni ’20 con il Conte Alexander Rostov che viene condotto in tribunale per presenziare alle accuse che gli sono state mosse e alla conseguente condanna. Con l’imminente rivoluzione che sta agitando la popolazione russa, il governo cerca di correre ai ripari eliminando tutti gli esponenti influenti che potrebbero appoggiarla, anche a costo di reggere processi sul nulla. L’unica colpa del Conte è di essere nato nobile e, riuscendo a evitare la pena di morte imminente, viene esiliato nel lussuoso hotel Metropol dal quale non dovrà mai mettere piede fuori.
Svestito di ogni sfarzo che allietava la sua vita quotidiana e spostato in una piccola e fredda stanza della mansarda, Alexander sarà testimone del passare del tempo, spettatore esterno della vita altrui e impotente davanti agli accadimenti che coinvolgeranno le persone che ama. Tuttavia, resterà saldo nei principi con i quali è cresciuto e farà in modo di adattarsi alla sua nuova esistenza.
A fargli compagnia in questo cammino ci saranno la piccola Nina, che con il passare degli anni vedremo fiorire in giovane donna, Anna, l’affascinante attrice in cerca di fama, e Mishka, un vecchio amico d’infanzia, nonché principale fomentatore della rivolta.
Ewan McGregor è la punta di diamante di Un gentiluomo a Mosca e regge interamente la storia con la sua magnifica interpretazione. Con il passare degli episodi vedremo tutta la scala di emozioni di cui è capace l’essere umano e non ci farà rimpiangere un solo minuto.
Questo purtroppo non si può dire dei personaggi secondari, che restano relegati sullo sfondo alquanto incompiuti. Non regalano lo stesso fascino che avvolge il personaggio del Conte Alexander. C’è anche chi riesce a creare involontariamente una discrepanza con ciò che si sta guardando e mi riferisco all’attore che interpreta Mishka, Fehinti Balogun. Nonostante la sua credibile performance, il ruolo non gli si addice per niente. Sfortunatamente il colore della pelle e i rasta interrompono quella coerenza storica che dovrebbe comunque esserci nonostante il genio creativo del regista. Spesso non sembrava di essere in Russia.
Ciò che non va davvero è però la sceneggiatura, gli avvenimenti storici sono alquanto annacquati e messi in secondo piano rispetto ai sentimenti e alle relazioni che uniscono Alexander ai diversi inquilini dell’hotel. Ci troviamo davanti un racconto lento, da assaporare ma che con il passare degli episodi diventa ripetitivo soprattutto nei messaggi che vuole mandare. Il tempo in cui avvengono i fatti è troppo lungo e non aiuta a rendere più dinamica l’intera storia.
Un punto di merito va al comparto musicale curato dal compositore argentino Federico Jusid, dalla sigla di apertura a ogni minima sfumatura durante ogni episodio, il lavoro fatto è davvero incredibile.
Nel complesso, Un gentiluomo a Mosca non dispiace, ma se vi aspettate azione meglio puntare su Shogun.


Avete presente quando inizia a piacervi un personaggio e dopo cinque minuti muore o quando alla fine di una serie che vi è piaciuta tanto ne annunciano la cancellazione? Ecco, quello è il mio mai una gioia personale. Ho un talento naturale nel trovare le brutture più indicibili da guardare e dopo averlo fatto mi consolo divorando patatine e horror.