Un altro piccolo favore è il sequel di cui non avevamo bisogno, arrivato il primo maggio su Prime Video ci riporta tra le disavventure di Stephanie ed Emily.
La prima pellicola, diretta sempre da Paul Feig, mostrava l’incontro tra Stephanie (Anna Kendrick), mamma blogger precisina e un po’ impacciata ed Emily (Blake Lively), carismatica e sicura di sé. Così diverse caratterialmente, riescono comunque a trovare una sintonia e diventare amiche. Quando una delle due scompare, l’altra si trasforma in una detective improvvisata, scoperchiando una rete di segreti, bugie e doppi giochi che porteranno all’arresto di Emily
Il sequel vede Stephanie, cinque anni dopo, alle prese con la vendita del suo primo libro. Una storia crime che racconta le vicende che hanno portato la sua amica bugiarda dietro le sbarre. Proprio durante la presentazione, ecco che riappare Emily per invitarla come damigella d’onore al suo matrimonio che si terrà a Capri.
Il futuro sposo, un certo Dante (Michele Morrone), le accoglie dopo il volo in jet privato per portarle all’hotel. Il matrimonio verrà scosso da un paio di omicidi e toccherà a Stephanie cercare di sbrogliare la matassa.
Un altro piccolo favore fa rabbrividire da quanto è brutto, tutta l’ambientazione italiana risulta essere un’accozzaglia oscena di luoghi comuni, anche la trama non è poi così originale, talmente piena di forzature da risultare noiosa.
Anna Kendrick, pur essendo un’attrice versatile, qui è vittima di una scrittura debole e incoerente. Blake Lively, dal canto suo, appare visivamente magnetica, ma anche il suo personaggio è poco più che una serie di cliché su “la donna enigmatica e distruttiva”. Più che affascinante, Emily risulta spesso caricaturale, con dialoghi volutamente esagerati che raramente riescono a essere credibili.
Il film è pieno di colpi di scena, ma molti sono mal gestiti e privi di reale impatto. Invece di costruire tensione, la storia si affida a rivelazioni improvvise e poco plausibili, che sembrano più pensate per scioccare lo spettatore che per approfondire i personaggi o arricchire la narrazione. Alla fine, tutto diventa una corsa a chi mente di più, in un crescendo di assurdità che culmina in un finale tanto esagerato quanto insoddisfacente.
La regia di Feig, solitamente brillante nel genere comico, qui appare spaesata. Visivamente il film è ben curato, con una fotografia elegante e costumi notevoli (soprattutto quelli di Emily), ma la forma non riesce a compensare la sostanza.
Un altro piccolo favore sembra voler dire molte cose sulla maternità, l’amicizia femminile, i segreti di provincia, la costruzione dell’identità, ma alla fine non approfondisce nulla. Tutto resta in superficie, sacrificato in onore di uno stile patinato e di un intrattenimento che si vuole scaltro, ma risulta piuttosto vuoto.
Un’occasione sprecata, soprattutto considerando i talenti coinvolti.
Avete presente quando inizia a piacervi un personaggio e dopo cinque minuti muore o quando alla fine di una serie che vi è piaciuta tanto ne annunciano la cancellazione? Ecco, quello è il mio mai una gioia personale. Ho un talento naturale nel trovare le brutture più indicibili da guardare e dopo averlo fatto mi consolo divorando patatine e horror.