Questa volta arrivo tardi, anzi tardissimo. Ero curiosa di vedere il ritorno di Jodie Foster in True Detective: Night Country, ma poi ho scoperto essere una quarta stagione, così prima di impelagarmi nella visione, ho preferito partire dall’inizio.
La serie è antologica, ogni volta verrà affrontato un crimine diverso e conosceremo nuovi detective. Quindi non sarebbe neanche un problema cominciare dall’ultima, ma, dopo la visione, consiglio vivamente di recuperare questa prima stagione per diversi motivi.
Premetto che a me Matthew McConaughey non piace, nonostante la sua indubbia bravura, quindi ho iniziato la visione un po’ demoralizzata, ma mi sono ricreduta.
True Detective, creata da Nic Pizzolatto e mandata in onda su HBO nel 2014, con i suoi otto episodi riesce a catturare lo spettatore non solo per la trama.
Di cosa parla?
La storia si dipana su diverse linee temporali, ci mostra i detective Martin Hart (Woody Harrelson) e Rustin Cohle (Matthew McConaughey) alle prese con un omicidio tanto efferato quanto teatrale. Il cadavere della donna mi ha ricordato molto quelli nella serie di Hannibal con Mads Mikkelsen, brutalmente esposti come trofei davanti all’impotenza degli spettatori.
Con l’avanzare delle indagini, grazie soprattutto a intuizioni di Rustin, i due detective riescono a collegare la morte della donna con uno dei delitti operati da di un serial Killer nel passato .
Anni dopo, quel caso viene riaperto e Hart e Colhe richiamati per aiutare nelle indagini di un nuovo omicidio con lo stesso modus operandi.
“Non è questo lavoro che mi ha reso così, piuttosto è la mia indole che mi ha reso adatto a questo lavoro.”
True Detective è…
Un capolavoro. Non parlo della parte crime che riesce comunque a incuriosire lo spettatore e a destabilizzarlo con un finale a dir poco perfetto, ma del suo complesso. L’ambientazione, la Louisiana, contribuisce a dare quel tocco di desolazione, impotenza e mistero che si coglie durante l’indagine. Le location sono spesso cupe, tetre, sporche e quella poca luce che penetra da una porta socchiusa o dalle persiane delle finestre non riescono ad allontanare quell’oscurità fisica e metaforica che avvolge la storia, complice anche la musica.
La caratterizzazione degli stessi protagonisti è incredibile, Hart non sorprende molto: padre di famiglia, ottimo poliziotto, pessimo marito. Possessivo, maschilista, ma con un buon senso della giustizia, è la spalla im-perfetta per la vera perla: Colhe.
Rustin è tutto ciò che non ti aspetti da un poliziotto, eppure con la sua determinazione e attenzione ai dettagli riesce a chiudere casi davvero complessi. I discorsi tra i due colleghi cadono spesso su temi filosofici ostici, che mettono in dubbio la vita stessa, l’essere umano in quanto tale e le istituzioni da cui è circondato, mostrando tutto il pessimismo e nichilismo che rendono Colhe unico. Il suo problema con l’alcolismo, le visioni di cui soffre, sono solo la punta dell’iceberg di un personaggio così complesso e enigmatico che è difficile da dimenticare.
“Tutti sanno di avere qualcosa che non va. Semplicemente non sanno cosa sia. Vogliono tutti una confessione. Vogliono tutti un racconto catartico per descriverla, specialmente i colpevoli. Ma tutti sono colpevoli in qualche modo.”
True Detective parte con una prima stagione da brividi, vedremo se manterrà le aspettative con le seguenti.
Avete presente quando inizia a piacervi un personaggio e dopo cinque minuti muore o quando alla fine di una serie che vi è piaciuta tanto ne annunciano la cancellazione? Ecco, quello è il mio mai una gioia personale. Ho un talento naturale nel trovare le brutture più indicibili da guardare e dopo averlo fatto mi consolo divorando patatine e horror.