Se una rondine non fa primavera, non basta un dobermann semidecomposto a fare Resident Evil. La vera premessa che devo fare prima di scrivere questa recensione è che non ricordo di aver mai faticato tanto per vedere qualcosa e mantenere l’attenzione sullo schermo; mi sono distratta innumerevoli volte, dovendo di conseguenza tornare indietro per recuperare ciò che avevo perso.
La serie ci porta nel 2036, anno in cui il mondo è come lo abbiamo conosciuto nei film della saga, e la protagonista Jade si trova in missione per studiare gli infettati dal virus T; tutto bellissimo, fino a quando non compare la scritta 2022 e ti ritrovi a guardare due adolescenti rompicoglioni in fase di trasloco.
E già qui l’entusiasmo scende con prepotenza.
La Jade giovane è talmente odiosa che ho telefonato alla mia prof di chimica del liceo per scusarmi, anche a nome dei compagni; la sorella Billie invece è solo drammaticamente rimbambita, mentre il padre è un tizio inquietante privo di caratterizzazione.
Assistiamo inermi a momenti di tale stupidità che quasi mi aspettavo di vedere qualcuno mettere l’ananas sulla pizza, invece scopro che entrare nei laboratori segreti della Umbrella è di una facilità disarmante. Tipo “Alexa apri la porta”. Non ci sono guardie, telecamere, gatti da ricognizione… niente. Due adolescenti ebeti possono serenamente entrare a rubare conigli per poi Oh mio dio! Una gabbia blindata chiusa! Usiamo il badge di nostro padre per aprirla e farci quasi ammazzare!
No, non metto altri spoiler ma mi sembrava giusto far sapere al mondo come inizia l’apocalisse.
Se tutta la storyline del 2036 resta fedele alla tradizione del franchise di far sfilare strani zombi di varie specie di fronte alla Jade adulta, nel 2022 la trasformazione di Billie viene trascinata e allungata per adattarsi a ulteriori trame secondarie su cotte e avventure scolastiche.
Nel caso poi non fosse chiaro che la Umbrella è cattivissima, vediamo come viene gestito l’imminente lancio del farmaco Joy, una sorta di antidepressivo che contiene nientemeno che il famigerato Virus T. Sì, quello che ha distrutto la Raccoon City originaria, ma basta che non ne prendi più di diciannove compresse.
Resident Evil è l’ennesimo errore nel mondo degli adattamenti live-action. Nel tentativo di accontentare sia i nuovi arrivati che i fan di lunga data, semplicemente non si va da nessuna parte. I richiami a momenti iconici dei giochi sono sicuramente interessanti per gli appassionati, ma creano confusione per chi si approccia per la prima volta al franchise. Vent’anni, sette film e dodici giochi, poi arriva Netflix e delude tutti.
Che tu abbia una vasta conoscenza della tradizione di Resident Evil o non sappia nulla del suo universo, questa serie presenta enormi difetti, dalla sceneggiatura inutilmente tortuosa agli enormi buchi della trama. Purtroppo i salti temporali funzionano se uno dei due tempi narrati resta statico e funge da fonte di informazioni; in questo caso invece le due linee vengono spinte costantemente l’una contro l’altra, lasciando lo spettatore confuso e senza risposte.
Il mio biglietto da visita sono grandi occhi cerulei e un sorriso affettuoso, caratteristiche perfette per mascherare umorismo triviale e un sarcasmo che altrimenti mi metterebbe in guai seri.
Mi piacciono i dinosauri, gli zombie e il formaggio; sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, ma adoro anche rivedere i classici della mia infanzia.
E il formaggio.