No Exit è il nuovo thriller sbarcato da pochissimo sulla piattaforma Disney+ e diretto da Damien Power, basato sull’omonimo romanzo di Taylor Adams.
Una ragazza tossicodipendente, Darby, rinchiusa in una clinica di disintossicazione, scopre che la madre è ricoverata in ospedale e, per andare a trovarla, scappa dal rehab.
Solo che, appena fuggita, si ritrova in mezzo a una bufera di neve e deve fermarsi in una stazione di servizio: all’interno, trova quattro personaggi, a lei sconosciuti, che aspettano la fine del maltempo senza wi-fi e senza campo, giocando a carte e chiacchierando.
Il dramma, però, è dietro l’angolo: Darby, uscita nel parcheggio, nota che nel furgone di uno dei viaggiatori è rinchiusa una bambina rapita.
Sangue freddo ed estremo coraggio la spingeranno a fare di tutto pur di salvarla, venendo così a scoprire che niente è come sembra e che nessuno di quegli sconosciuti è davvero innocente.
L’idea di partenza del film è buona e la prima parte richiama molto le atmosfere tese e claustofobiche di The hateful eight: tutti riuniti in una stazione di servizio, con segreti e errori nascosti, raccolti intorno a un tavolo a farsi domande e a studiarsi. Poi, però, il thriller ad alta tensione passa a essere un vero e proprio bagno di sangue dove i colpi di scena non mancano ma, forse, sono presenti alcune pecche nella costruzione dell’intreccio che non verranno nemmeno spiegate.

Darby è una ragazza problematica che è pronta a tutto per salvare una bambina innocente (che, come vedrete, tanto innocente non è): il fatto che l’eroina del film sia una persona tormentata dai suoi demoni è una scelta molto riuscita perché si riesce benissimo a familiarizzare con il personaggio e a soffrire con lei.
Gli altri personaggi, i quattro sconosciuti che bluffano nascondendo terribili progetti e segreti sono, secondo me, meno caratteristici e di minor impatto: anche i cattivi di questa storia alla fine sono semplicemente degli scappati di casa di cui non si spiega il livello di crudeltà estrema che dimostreranno nel corso del lungometraggio.
Certo, le scene splatter non mancano grazie anche all’ausilio di una terrificante sparachiodi che probabilmente accompagnerà i miei incubi nei prossimi giorni. La costruzione della trama regge fino all’ultimo, l’ora e mezza di film trascorre gradevolmente e, alla fine, si è soddisfatti di aver visto un agghiacciante thriller con elementi horror e una buona dose di suspence.
In termini di struttura, ci troviamo di fronte a un tradizionale gioco a incastro alla Agatha Christie (leggete “Dieci piccoli indiani” e capirete meglio): non ci si può fidare di nessuno e tutti possono essere i colpevoli. Il risultato è quello di una perenne partita a poker (le carte nella pellicola sono presenti e rappresentano un simbolo per tutto ciò che accadrà dopo) oppure a “Dubito” dove qualsiasi mossa può essere messa in discussione.

In poche parole, il clima di intimità colpevole iniziale lascia poi il posto alla vera e propria carneficina e a elementi narrativi molto più fisici che mentali: l’interessante, però, sta nella prima parte, quando ancora le carte di tutti sono coperte e il mistero è ancora molto lontano dall’essere risolto.
Il finale mi ha lasciato un po’ perplessa, ho dovuto cercarne la spiegazione: frettoloso forse eppure portatore di un messaggio di speranza in quanto l’epilogo è positivo e ristabilisce l’ordine universale dove i giusti vivono e i cattivi muoiono.
Nel complesso, un thriller che offre spunti interessanti e che si lascia guardare, causando non poca ansia e angoscia come nelle migliori tradizioni!


Tra il libro e il film ho sempre preferito il libro, per questo cerco sempre di guardare serie tv con sceneggiatura originale. Più son truci e meglio è, perché l'unico modo per combattere il Male è attraverso la sua conoscenza. Se mi cercate, non mi troverete mai al cinema nelle sale dei film strappalacrime. Molto meglio gli horror e tanti, tanti pop corn!