Painkiller è disponibile su Netflix dal 10 agosto, onestamente non l’avrei nemmeno considerato, ovviamente il titolo mi aveva colpito, ma niente, non mi ispirava la trama, l’ennesima docu-serie di denuncia sulle malefatte americane, ma ho cambiato idea.
Dopo Dopesick, Painkiller si assume l’onere di parlare della nascita e distribuzione dell’OxyContin.
La sanità negli States è molto diversa dalla nostra; infatti, è completamente privatizzata il che ha i suoi pregi e tanti tanti difetti, come appunto lo scarso controllo da parte delle autorità. L’OxyContin è un oppiaceo molto forte che ha portato alla morte di più di 300.000 persone per overdose creando uno dei casi giuridici più controversi della storia.
Painkiller è stata realizzata dai creatori di Narcos, Micah Fitzerman-Blue e Noah Harpster, e come regista troviamo Peter Berg. I tre costruiscono una miniserie di sei episodi in cui non si impegnano a stupire, non esagerano in grandi gesta, si limitano a raccontare i fatti, e questo li rende talmente reali, crudi e brutali che non riesci a staccare. All’inizio di ogni episodio un membro della famiglia di qualcuno deceduto a causa del farmaco introduce la puntata la frase è sempre la stessa, una storia vera raccontata con nomi fittizi e luoghi diversi, e questo, in qualche modo lo rende più tangibile.
Tutto inizia con il capostipite della famiglia Sackler (Clark Gregg, indimenticabile Phil Coulson di Agent’s of Shield), un sedicente medico che ha amato molto fare lobotomie per passare poi all’introduzione del Valium. Capisce che il suo talento non è esattamente curare la gente, ma vendere un’idea, poco importa se giusta o sbagliata, ed è bravissimo in questo tanto da diventare immensamente ricco. Alla sua dipartita le redini della società da lui fondata, la Purdue Pharma, passano al nipote Richar Sackler (Matthew Broderick) che se possibile è ancora più spregiudicato del nonno.
Richard ha un solo interesse, cane a parte, fare soldi, come? Seguendo le orme del suo predecessore, immette sul mercato farmaceutico un nuovo antidolorifico, più forte del precedente che già avevano creato, il Contin, e così nasce l’OxyContin, una pillola che contiene eroina, creando velocemente dipendenza. Nonostante il team che lavora su questo farmaco si rende presto conto di questo effetto collaterale, il nome della famiglia e la carenza di personale e di attenzione di chi lavora all’FDA, la famigerata pastiglia ottiene il nulla osta e viene immessa sul mercato.
Richard, che ha continue visioni del malvagio avo, il quale lo consiglia malissimo aggiungerei, capisce che per commercializzare l’Oxy serve una strategia mirata di marketing, belle ragazze, soldi a palate, il tutto partendo da un assunto abbastanza semplice, le persone che provano dolore cercano l’estasi.
Dalla parte opposta c’è un’investigatrice del procuratore distrettuale, Uzo Aduba (Orange is the new Black e Black Mirror), tanto testarda quanto coraggiosa, che una volta scoperto quello che sta succedendo, dichiara guerra alla Purdue Pharma, inutile dire che non fa tutto solo a favore della legge ma c’è anche molto di personale.
In mezzo ai due grandi protagonisti incontriamo chi senza saperlo si ritrova a diventare dipendente, un tossico senza via di uscita. Vari casi si susseguono negli episodi ma solo uno rimane fisso in tutta la trama orizzontale, un padre di famiglia che a causa di un infortunio sul lavoro subisce questa sorte. Glen (Taylor Kitsch) è bravissimo a farci vivere tutte le fasi della sua personale odissea, dalla gioia per la fine del dolore che lo devastava, alla discesa sempre più repentina verso il mondo dei drogati, arriverà perfino a rubare i soldi alla moglie e minacciare il figliastro.
Un pugno nello stomaco quando il procuratore Edie Flowers riesce ad avere abbastanza prove per imbastire una causa, non vince, viene invece imbavagliato in quanto il potere della famiglia Sackler riesce a raggiungere la Casa Bianca e il dipartimento di giustizia e tutto si risolve in un nulla di fatto.
La storia sembra svolgersi in questi anni, in realtà, nonostante sia ancora un grande problema l’uso degli oppiacei, tutto questo inizia negli anni ’90.
Painkiller è sicuramente una serie ben fatta dove tutti i personaggi e i loro interpreti sono veramente bravissimi, è una docu-serie che però sa tanto di medical/legal/thriller drama, dove l’impatto emotivo la fa da padrone e che dire ci riesce benissimo, infatti, l’ho finita da poco e non so nemmeno come dovrei sentirmi, non ho idea se guardare in faccia la realtà provochi il male che teoricamente dovrebbe fare, forse siamo talmente abituati a vedere mostri che se sono ricchi e potenti non verranno mai considerati come tali, forse non sconvolge il conto delle morti, forse poco ci importa che alla fine ci rendano partecipi che i Sackler hanno lasciato la società. Infondo come dice Edie, i buoni non vincono mai.
Sicuramente da vedere.
Mentre lo mettete nella lista delle cose da guardare vi lascio il trailer:
Che dire di me? Amo più le serie TV dei film, perché? I film durano pochi minuti, i telefilm ti danno la possibilità di conoscere i personaggi fino a considerarli amici. Sono impacciata, sfigata e decisamente il mio angelo custode è partito per Bora Bora e lì è rimasto. Mi piacciono quasi tutti i generi, ultimamente ho scoperto che la Turchia è la terra dei sogni, ma... il primo amore restano gli States. Comunque, nel dubbio, il mio gatto da ottimi consigli su cosa guardare oppure no, animale saggio!