Era difficile dopo una prima stagione così perfetta ripetersi, ma il risultato è stato raggiunto, anche la seconda di Pachinko, disponibile su Apple TV, è bellissima.
Nonostante i protagonisti del passato e del presente siano attanagliati dalle difficoltà e vittime di eventi che li travolgono, ciò che prevale, così come nella prima stagione, non è il senso di sconfitta, né il sentimentalismo, ma la resilienza e la dignità.
Tutte le generazioni di Pachinko cercano di opporsi al destino avverso, a volte riuscendo a cambiarlo, a volte no, ma sempre impegnandosi fortemente.
Questa serie è capace di commuovere, di prenderti l’anima e i sensi, di farti reagire di pancia, ma anche di acculturare e farti scoprire aspetti della storia del popolo coreano e degli eventi storici che tratta in maniera sublime.
Il tema di fondo è sempre il pregiudizio verso gli zainichi, i coreani in Giappone, apolidi, né Giapponesi, né Coreani, umiliati, bistrattati, emarginati nel passato e nella linea temporale moderna ma si parla anche di amore, passione, delusione, patriottismo, solitudine.
La seconda stagione riprende dopo sette anni e la narrazione alterna gli anni ’40 e ’80, discostandosi dal libro specie nella parte relativa al 1989, la cui conclusione era già stata esplorata alla fine della prima.
Eccovi il trailer:
Durante la seconda guerra mondiale, Sunja ( una splendida Min-ha Kim) fa del suo meglio per provvedere alla famiglia, è invecchiata e provata, il suo sguardo ha perso l’innocenza della giovinezza, ma mantiene la sua determinazione.
Isak (Steve Sang-Hyun Noh), il marito idealista, è imprigionato e veniamo a sapere che il fratello Yoseb (Junwoo Han) lavora in una fabbrica di armi a Nagasaki, notizia che dona un senso di angoscia, immaginando quello che poi succederà proprio lì.
I ragazzi sono cresciuti e sono molto diversi tra loro: Noa è tranquillo, studioso e profondamente preoccupato di fare la cosa giusta per la sua famiglia; Mozasu è rumoroso, curioso e strafottente.
Nella loro vita torna prepotentemente Koh Hansu, che in realtà c’è sempre stato ma che in questa fase si palesa apertamente per farli evacuare dalla città, dopo aver fatto liberare Isak e avergli concesso di morire a casa sua.
La Yakuza, la mafia giapponese, è diventata sempre più ricca e potente grazie alla presa sui mercati neri e Hansu è in lotta per il potere all’interno dell’organizzazione, sempre ostracizzato dal suocero giapponese, solo e in conflitto tra questo suo aspetto e la voglia di purezza e normalità che Sunja e il figlio incarnano.
In questa stagione questo personaggio viene sviscerato, ci viene raccontata la sua storia attraverso una puntata straziante e volutamente girata in seppia che ci mostra in parte i motivi del suo modo di vivere.
Ho amato Lee Min-ho, che lo ha reso quasi un eroe romantico, a volte tenero, ma a volte capace di inaudita ferocia, con un abbigliamento sempre accecante e kitsch.
Non mi vergogno a dire che a un certo punto ho sperato che Sunja cedesse e si rifugiasse tra le sue braccia.
Uno degli archi narrativi principali che emergono in questa stagione è quello di Noa (Kang Tae Joo), combattuto tra le possibilità che il mondo gli offre e il senso del dovere verso la famiglia.
Alla fine iniziamo a intuire ciò che potrebbe essergli successo.
Il ragazzo scopre che Hansu è suo padre e ciò lo devasta.
Dopo un duro confronto con l’uomo che alle accuse di Noa di essere cattivo ed egoista gli ricorda che, in quanto suo padre biologico, anche lui ha il suo sangue, decide di tornare a casa a Osaka nel cuore della notte per vedere brevemente sua madre e per dirle addio.
Rinnega le sue origini e fingendosi giapponese va a lavorare in una sala Pachinko, elemento simbolico e ricorrente.
Ho gradito anche l’affetto segreto che l’uomo di Hansu, Changho Kim (Sungkyu Kim), ha per Kyunghee (Eunchae Jung), profondo, delicato, capace di cambiare la sua vita e i suoi obiettivi.
Nella linea temporale degli anni ’80, anche Solomon (Jin Ha) sta cercando, come aveva fatto Hansu, di risalire la china, ma è difficile a causa anche degli stessi pregiudizi di cui erano vittime i suoi antenati.
Vivrà il dolore e la delusione e sceglierà un percorso poco rispettabile, in una similitudine con Hansu che mi è piaciuta molto. Le scene in cui lo vediamo con la barba incolta, una pentola di noodles che lascia quasi traboccare e il crollo in una pasticceria ci fanno percepire chiaramente il suo stato d’animo e ci spiegano in parte la sua scelta. Bella anche la performance di Anna Sawai (Shogun), che l’uomo decide di sacrificare per i suoi obiettivi.
Il tema del passato che ritorna e condiziona il presente viene trattato anche attraverso la nuova amicizia della Sunja più anziana con uno sconosciuto, anche lui perseguitato dalle scelte precedenti.
Youn Yuh-jung è sublime nell’interpretare la vecchia Sunja, basta uno sguardo al suo viso e ai suoi occhi per capire quello che ha vissuto, e ciò nonostante questi non evocano dolore o sofferenza ma serafica calma e determinazione.
La colonna sonora soul di Nico Muhly è perfetta e sottolinea momenti di assoluta poesia: il legame tra Mozasu (Soji Arai) e Noa, i fratelli che aiutano Yoseb ad affrontare il mondo dopo il suo calvario, Sunja che piega i vestiti per la partenza di Noa.
Ci sarà una terza stagione? Non è ancora stata annunciata ma lo spero fortemente, c’è ancora tanto da raccontare.
Vi lascio con questa speranza e con l’augurio che più persone possano guardare questa serie che è sicuramente sottovalutata e poco conosciuta, ma che per me rappresenta uno dei più bei prodotti degli ultimi anni.
Gli storici sono la mia passione, mi piacerebbe catapultarmi durante la Reggenza tra balli e corteggiamenti. Amo gli amori contrastati e sono una sentimentale... mi commuovo pure per le pubblicità. L'altra mia passione è Grey's Anatomy che seguo dalla prima puntata anche se il mio personaggio preferito è morto nell'undicesima stagione... 😡