Ammetto che inizialmente non mi convinceva nemmeno il titolo, poi però mi sono detta che Funny Woman poteva essere interessante. Alla peggio avrei potuto semplicemente mollarla come ho fatto con decine, forse centinaia di altre serie che in un modo o nell’altro hanno deluso le mie aspettative, oppure erano intrise di quella overdose di sfiga e violenza di genere che ormai non ho più pazienza di vedere.
Mi sarei potuta trovare davanti la versione british della Favolosa Mrs Maisel, e mi sarei annoiata (quest’ultima stagione è una parete rocciosa che non riesco a superare), o peggio, l’ennesima storia in cui la protagonista è vittima di abusi perpetrati dai vari executives delle reti televisive, in stile Biopic di Marilyn Monroe. Dio ce ne scampi, e invece no: Funny Woman è una bella miniserie, ricca di personaggi ben studiati, profondità e umorismo. Un arcobaleno di sapori che si uniscono in una nuvola succosa che ti fa desiderare di averne sempre di più.
Una straordinaria Gemma Arterton interpreta, vive, l’esuberante Barbara Parker, che vuole di più dalla vita di un lavoro in fabbrica e una famiglia. Dopo aver vinto un concorso di bellezza a Blackpool, la sua cittadina di origine, si dirige verso le luci brillanti di Londra e cerca di farsi strada nel mondo dello spettacolo reinventandosi come Sophie Straw.
Barbara è goffa, ironica, ingenua e arguta, troppo bella per la commedia brillante, troppo intelligente e ambiziosa per il ruolo della bomba sexy, almeno fino a quando questa Funny Woman non incontra il produttore e gli autori giusti, gli unici in grado di comprenderla, apprezzarla e valorizzarla. Riuscire a portarla in Tv è un’impresa molto difficile, piena di ostacoli. La sua forza d’animo verrà ripetutamente messa alla prova da innumerevoli sfide, ma troverà la sua fortuna nelle poche persone che davvero hanno capito cosa si cela dietro all’aspetto conturbante della ragazza con lo strano accento campagnolo.
Nel frattempo, si toccano con rispetto e delicatezza sessismo, razzismo, omofobia e tutti i temi che negli anni sessanta si davano semplicemente per scontati.
Funny Woman non è sicuramente privo di difetti. A molte scene ambientate a Londra viene applicato un filtro Super 8, i personaggi si calano l’LSD su una colonna sonora uscita direttamente dalla compilation “Best of the Sixties”. Ci viene costantemente ricordata l’epoca, eppure atteggiamenti e linguaggio appaiono fin troppo attuali, tanto da stonare e apparire fuori contesto, il che significa che non funziona né come storia di fantasia, né come rivisitazione del passato in stile Bridgerton.
Nella migliore delle ipotesi, l’audacia con cui i personaggi si difendono da razzismo, sessismo e persino violenza sessuale potrebbe essere vista come la realizzazione di un desiderio, ma sembra più che altro condiscendente nei riguardi di quelle persone che hanno lottato decenni contro una società che non è stata costruita per loro, e coloro che continuano a essere ignorati e discriminati oggi.
Gemma Arterton è civettuola, spiritosa e molto carismatica, offre a Barbara un fascino che dona molteplici dimensioni al personaggio; la sceneggiatura è veloce e fluida, incredibilmente intelligente, e gli attori sono perfetti in ogni scambio e interazione.
Funny Woman è esattamente ciò che suggerisce il titolo, ma è anche più di questo: è cuore e dramma, ma soprattutto una protagonista di cui è facile innamorarsi.
Il mio biglietto da visita sono grandi occhi cerulei e un sorriso affettuoso, caratteristiche perfette per mascherare umorismo triviale e un sarcasmo che altrimenti mi metterebbe in guai seri.
Mi piacciono i dinosauri, gli zombie e il formaggio; sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, ma adoro anche rivedere i classici della mia infanzia.
E il formaggio.