Occhi troppo grandi, colori sfavillanti, canzoni e danze sfrenate… perché Encanto è il solito film Disney, il sessantesimo Classico. Giusto?
E invece no.
Certo, le bambine vedranno una ragazza normale che salva la situazione, forte proprio del suo non essere speciale; dopo anni e anni di super principesse, la giovane Mirabel tenta di portare nelle nostre case un’eroina il cui unico potere è la perseveranza.
La famiglia Madrigal è stata benedetta dai “doni”: ognuno dei discendenti di Alma, che è l’antitesi della classica, dolce abuelita che vediamo di solito, ha un potere speciale, che viene messo al servizio del piccolo villaggio nascosto tra le montagne, da qualche parte in Colombia. L’unica che non ha ricevuto alcun dono è proprio Mirabel, che per tutta la durata del film si sforzerà di capire cosa sta danneggiando la magica Casita in cui vivono e interferendo coi talenti delle sue sorelle, dei cugini, della zia e della mamma.
Questo musical è stato composto nientemeno che da Lin-Manuel Miranda, e la sua bravura traspare in ogni singola melodia; le canzoni sono potenti, trascinanti e, mai come in passato, parte integrante della storia.
I Classici Disney hanno sempre tentato di cantarci una sottotrama, i sentimenti inespressi e parecchi monologhi, ma con Encanto la canzone diventa film nel modo più assoluto.
E mi ha colpita molto.
Mentre pensavo a cosa scrivere in questa recensione ho provato a ripercorrere i momenti in cui mi sono sentita più coinvolta, ed eccolo lì: la canzone di Luisa.
La sorella benedetta dal dono della forza canta la sua paura di non essere forte abbastanza, di vacillare, di perdere la presa. Di non essere abbastanza. Vi dice niente? Non è che per caso sono le stesse insicurezze di molte madri là fuori?
Quindi ho pensato di andare più a fondo e analizzare la canzone di Isabela, che oltre ad essere di una bellezza straordinaria può far sbocciare i fiori e farli muovere a piacimento: prigioniera delle aspettative vuole essere libera di esprimersi e, casualmente, si sfoga facendo letteralmente esplodere arcobaleni multicolore, nei quali ho letto, ma potrei sbagliarmi, un indizio della sua appartenenza alla comunità LGBTQ+.
Abbiamo poi la madre che può guarire le persone col cibo, il più dolce dei clichè, e la zia che cambia il clima a seconda del suo umore, una visione sessista del carattere femminile; su di loro la matriarca, Alma, il cui potere ci viene rivelato alla fine.
Le figure maschili invece sono molto deboli: dal papà di Mirabel, un bambacione che si fa curare costantemente l’allergia dalla moglie, al marito di Pèpa, che vigila costantemente sull’umore della consorte. I cugini sono stati benedetti da doni infantili che sono più un gioco che un aiuto vero alla comunità.
L’unico a spiccare tra loro è Bruno, che col potere della preveggenza è stato additato come menagramo e portato a isolarsi.
Per quanto non sia stato facile, in questa ora e mezza viene raccontata una storia multigenerazionale che strizza l’occhio a tematiche moderne di emancipazione; viene da chiedersi, però, se fosse il caso di infilarle in un film Disney.
Adulti e bambini vedono Encanto in modo molto diverso, i primi leggendo tra le righe e i secondi, beh, pensando a quanto è stronza la nonna. Mi chiedo se non sia stato uno spreco.
Il mio biglietto da visita sono grandi occhi cerulei e un sorriso affettuoso, caratteristiche perfette per mascherare umorismo triviale e un sarcasmo che altrimenti mi metterebbe in guai seri.
Mi piacciono i dinosauri, gli zombie e il formaggio; sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, ma adoro anche rivedere i classici della mia infanzia.
E il formaggio.
I bambini forse capiranno che non serve essere speciali per fare cose grandiose, ma per i grandi è una full immersion nella costante disillusione delle aspettative e nella responsabilità di fat ciò che è meglio per la famiglia.