
Arthdal Chronicles, è una serie coreana in due stagioni, di cui la prima è stata rilasciata in Italia su Netflix in 18 episodi nel 2019 e la seconda, in corso, sarà visibile a breve su Disney plus.
È un fantasy molto ambizioso, di genere storico che affronta il periodo della fondazione della civiltà coreana, mai stato oggetto di rappresentazione nei K-Drama che invece si sono più spesso soffermati sul periodo Joseon (1392-1910 d.C.) o su quello precedente, Goryeo (936-1392 d.C).
Diretto da Kim Won Seok (Misaeng) e prodotto da Studio Dragon (Love Alarm) è ambientato nella mitica terra di Arth durante l’età del bronzo e ci narra come in un mondo in cui convivono numerose tribù, i Saram della grande città di Arthdal, progredita e moderna, cerchino di imporre il loro potere.
Qui il trailer della prima stagione.
La serie inizia presentandoci, oltre ai Saram anche i Neanthal, meno progrediti, ma più forti e veloci, capaci di vedere al buio e maggiormente spirituali.
I primi vogliono le terre dei secondi, più fertili, per poterle coltivare e, al loro rifiuto, dettato da un maggiore rispetto per la natura e gli animali, iniziano una guerra per sterminarli.
Vi riescono, grazie a uno stratagemma ordito da Tagon, figlio del capo dell’unione di Arthdal. Una dei Saram, mandata con l’inganno dai Neanthal concepisce due gemelli Igutu (cioè, mezzosangue) con uno di loro: Eun-seom e Saya (interpretati da Song Joong Ki, conosciuto per le serie Vincenzo e I Discendenti del Sole).
Eunseom cresce con la tribù dei Wahan, un popolo pacifico, che vive in simbiosi con la natura, Saya invece viene cresciuto nascosto in una torre da Ta-gon (Jang Dong Gun) e Tae Al-ha, la sua donna.
I due sono nati sotto il segno di una cometa e degli Dei, lo stesso giorno di Tan-Ya (Kim Ji Won), anche lei Wahan e amica di Eun-seom, futura sacerdotessa del suo popolo.
I tre ragazzi sono destinati a operare un cambiamento nel mondo, ma non sappiamo in che modo.
Ta-gon e Tae Al-ha (Kim Ok Bin) costituiscono il simbolo del potere, gli accentratori, coloro che vogliono governare un territorio vasto, unendo i popoli, attraverso la loro sottomissione e le guerre di conquista per costituire quella che sarà poi la moderna nazione.
La prima stagione racconta di come le storie di questi cinque protagonisti si intrecceranno, con Ta-gon, Saya e Tae Al-ha apparentemente dalla stessa parte della barricata e cioè impegnati nel loro progetto mentre Eum-seom e Tan-Ya dall’altra, cioè a difesa del popolo, del tribalismo e della libertà e autonomia dei diversi gruppi.
Alla fine delle corpose 18 puntate, devo dire troppe e troppo lunghe, la storia in realtà è solo all’inizio; perciò, se volete affrontare la faticosa visione di questa serie non potete poi non proseguire con la seconda.

Tanti sono i temi trattati, in questa prima parte, primo tra tutti la ricerca del potere, per il quale non ci sono legami familiari, amorosi o di amicizia che tengano.
Viene affrontato poi il concetto di leadership di un popolo rispetto agli altri, il desiderio di prevalere sulle altre razze, che nasce dalla consapevolezza della propria inferiorità in termini di forza, bellezza e capacità spirituali, in nome del progresso e delle maggiori capacità materiali acquisite, come per esempio quella di lavorare i metalli.
Al centro della vicenda vi è inoltre il tema dell’integrazione e della tolleranza verso il diverso.
Alcuni personaggi principali sono mezzosangue e rivendicano, ognuno in maniera diversa, il proprio diritto a esistere e affermarsi in una società che invece tende a escluderli.
La storia è avvincente, gli attori molto bravi, la fotografia è di grande efficacia drammatica e la musica epica; tuttavia, c’è qualcosa che non convince pienamente.
Uno dei motivi è la troppa carne al fuoco, sono eccessive le storie che si intrecciano e i sentimenti in gioco e questo fa sì che a parte con il personaggio di Eun-seom non si riesce a empatizzare con nessuno degli altri.
Il cambiamento dei due amanti per i quali all’inizio si fa il tifo, costantemente maltrattati dai loro padri, che si supportano a vicenda e che poi all’improvviso diventano l’uno quasi il nemico dell’altro, mi ha lasciato l’amaro in bocca.
Saya e Tan-Ya non mi hanno conquistato e spero sia solo perché ancora non hanno trovato la loro direzione.
Per questo e per altri motivi l’accoglienza della critica è stata in parte negativa. Le obiezioni addotte riguardano inoltre alcune incongruenze riguardanti gli usi, i costumi e gli ambienti, a volte giudicati non adatti all’età del bronzo, ma anche la similarità con Il Trono di Spade, a iniziare dalla sigla, che lo ricorda molto.
Io non ho notato questo aspetto, ma devo dire che il mio giudizio complessivo è più basso rispetto alle mie aspettative.
Non ci resta che guardare la seconda stagione di Arthdal Chronicles che inizia con un bel salto temporale e con nuovi attori che interpretano Tan-Ya e i gemelli, in particolare Lee Joon-gi (Moon Lovers) che io adoro, sperando che diano alla serie, insieme a una trama meno dispersiva, quel salto di qualità che merita.
Alla prossima!


Gli storici sono la mia passione, mi piacerebbe catapultarmi durante la Reggenza tra balli e corteggiamenti. Amo gli amori contrastati e sono una sentimentale... mi commuovo pure per le pubblicità. L'altra mia passione è Grey's Anatomy che seguo dalla prima puntata anche se il mio personaggio preferito è morto nell'undicesima stagione... 😡