Penso che per i lettori non ci sia paura peggiore che vedere il libro tanto amato trasposto in un film di basso livello, o peggio, non fedele alla trama originale. Apocalisse Z, produzione originale Prime Video, ha deciso di andare oltre le più rosee speranze e ha cercato di essere più fedele possibile al (ottimo, concedetemelo) romanzo di Manel Loureiro, primo di una splendida trilogia.
La pellicola, come la versione, si discosta immensamente dal trito panorama americano intriso di armi e cazzodurismo, presentandoci un protagonista riflessivo, empatico, ingenuo e giustamente impreparato al disastro che ha stravolto il mondo.
Manel è un avvocato spagnolo trentenne che ha da poco vissuto un evento traumatico e osserva la pandemia dallo schermo del televisore, già isolato di suo. La sorella Belen, sposata con un militare, oltre a preoccuparsi costantemente per lui lo aggiorna con notizie molto più dettagliate rispetto a quelle fornite alla cittadinanza, aiutandolo così a fare le scelte più giuste. Le comunicazioni purtroppo a un certo punto decadono, e Manel si trova da solo in casa con l’amato gatto Lucullo (personaggio iconico anche della trilogia cartacea) e le provviste ormai in esaurimento.
Uscire in cerca di cibo gli farà conoscere una persona in grado di dargli quel qualcosa in più che alla fine lo stimola a intraprendere il suo viaggio in direzione delle Isole Canarie, dove la sorella lo aspettava l’ultima volta in cui sono riusciti a comunicare. Zaino in spalla, Lucullo nel trasportino e in sella a una moto da cross, Manel si avventura all’esterno del suo quartiere residenziale ormai deserto e privo di risorse, in direzione del porto.
Per la gioia dei lettori, incontra presto Viktor “Prit” Pritchenko, Lucìa e suor Cecilia, anche se qui la storia differisce un po’.
Apocalisse Z è fedele allo spirito del romanzo, più che alla sua trama; gli eventi accadono allo stesso modo, ma in modo diverso, un po’ come nel live action di One Piece. I personaggi arrivano dove devono arrivare passando per strade differenti.
Sarebbe stato un tocco in più dare a Manel una voce interiore, un qualcosa che aiutasse gli spettatori a capire meglio le sue scelte, perché solo chi ha letto il libro è può riconoscere facilmente la tuta in neoprene e ciò che lo spinge a usarla al posto dei vestiti normali. Altra nota negativa è l’uso estremo del buio: nelle scene al chiuso o in notturna, non si vede assolutamente nulla al di là di qualche sagoma indistinta. Bisogna letteralmente tirare a indovinare cosa sta succedendo come nella battaglia di Winterfell in Game of Thrones.
A conti fatti, un buon film proprio per la sua diversità dai soliti prodotti sul tema, al pari di Juan of the Dead, che finisce con un cliffhanger, di nuovo, prevedibile per i lettori della trilogia, che apre le porte per degli ottimi sequel.
Il mio biglietto da visita sono grandi occhi cerulei e un sorriso affettuoso, caratteristiche perfette per mascherare umorismo triviale e un sarcasmo che altrimenti mi metterebbe in guai seri.
Mi piacciono i dinosauri, gli zombie e il formaggio; sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, ma adoro anche rivedere i classici della mia infanzia.
E il formaggio.