“Anatomia di una caduta” (in originale “Anatomie d’une chute”) è un film del 2023, diretto da Justine Triet. La pellicola ha fatto incetta di premi e candidature ma su tutti spicca la vittoria della Palma d’Oro alla 76esima edizione del festival di Cannes.
Ho visto il film ieri sera ed è stata un’esperienza intensa (non solo per le due ore e mezza di visione), tanti sono gli elementi che vorrei far emergere nella mia recensione ma, soprattutto, molti sono i dubbi che volutamente lo srotolarsi della trama lascia in noi spettatori.
Dire che sono rimasta F4 basita in loop è poco (scusate la citazione ma gli amanti di Boris capiranno…) e in queste righe voglio provare a offrire un’interpretazione quanto più oggettiva di un film che è un super legal-thriller ma riscritto in modo da divenire il dramma della stessa idea di famiglia che noi occidentali portiamo avanti a livello borghese da decenni.
Un po’ di trama…
Sandra è una scrittrice di origine tedesca seduta comodamente sul divano dello chalet in alta montagna dove vive insieme al marito Samuel e al figlio undicenne ipovedente Daniel (non dimenticando il bellissimo cane Snoop che completa il quadretto idilliaco della famiglia perfetta).
Mentre una giovane giornalista la sta intervistando (e registrando col suo cellulare), d’improvviso, dalla soffitta parte una musica altissima e ritmata.
Sandra si scusa, è il marito che quando lavora accende la cassa. L’intervista, però, non può proseguire, il brano latineggiante sovrasta le loro voci e la giornalista se ne va con la promessa che reincontrerà la scrittrice a Grenoble, in una situazione un po’ meno caotica.
Qualche attimo dopo scorgiamo Daniel passeggiare nella neve con Snoop e ritornare verso casa, e qui c’è la scoperta terribile: il corpo esanime di Samuel giace a terra, morto.
Ma l’uomo si è suicidato o è stato ucciso da Sandra? Le ferite, dopo l’autopsia, sono compatibili sia con la caduta volontaria dalla finestra della soffitta sia con una colluttazione seguita da una spinta e, scavando profondamente nel presente e nel passato della coppia, emergono seri dubbi sulla presunta innocenza della moglie che viene messa sotto processo.
L’unico testimone, ahimè non oculare, è Daniel, il figlio, diviso tra la volontà di non danneggiare la madre e di scovare anche la verità sulla scomparsa dell’amato padre.
Un po’ di opinioni random…
Come ho detto prima, si tratta di un dramma quasi shakespeariano: la storia di Sandra, Samuel e Daniel è quella di una famiglia totalmente in pezzi.
Come il processo farà emergere in maniera dura e crudele, Sandra è una donna priva di empatia, fredda, una presenza freudianamente “castrante” per il marito nel corso degli anni: gli ha imposto l’utilizzo di una lingua comune, l’inglese, nonostante Samuel sia francese e vivano vicino Grenoble), lo ha tradito con varie donne e uomini (Sandra è bisessuale), lo ha sottilmente incolpato dell’incidente che anni prima ha reso Daniel ipovedente causando nel marito una forma grave di depressione declinata nel perenne tentativo di rimediare al torto fatto subire al figlio e, infine, non solo ha continuato a sottrargli tempo per scrivere (Samuel avrebbe velleità da scrittore e, molto probabilmente, più talento di lei) obbligandolo a ottemperare a tutte le incombenze della gestione familiare, della casa e del restauro dello chalet ma gli ha rubato anche l’idea centrale del suo romanzo, pubblicandola, come se fosse sua, in un’opera divenuta poi famosa.
Noi scopriamo tutto questo attraverso l’uso sapiente dell’escamotage processuale (con tanto di registrazioni audio annesse di litigi e colluttazioni) ma anche dalle stesse parole di Sandra e del figlio Daniel.
Il ragazzo, che non ha più occhi, diverrà, suo malgrado, lo specchio dell’anima del padre, cercando di ricordare con tutte le sue forze se sia possibile pensare all’idea del suicidio di Samuel; “Anatomia di una caduta”, alla fine, diventa il racconto di un’infanzia rubata poiché Daniel, presente a tutte le udienze, non potrà mai più godere della sua innocenza ma, anzi, dovrà fare i conti con la sofferenza di entrambi i suoi genitori, difendendo la madre ma, da come l’ho intesa io, solo per senso di giustizia e non per amore materno.
Sandra, infatti, risulta incapace di provare sentimenti: è un personaggio molto controverso che non suscita la minima simpatia, pur attraversando la vicende di una vedovanza e di un lungo processo, non c’è stato un solo attimo in cui io abbia parteggiato per lei oppure abbia creduto alla sua innocenza, tanto che la crudezza delle udienze è sempre rafforzata dal gelo che scorre attraverso la sua testimonianza, dalla sua oggettività che si fa pietra anche di fronte alla realtà di aver perso l’amore di una vita e, probabilmente, anche il rapporto col figlio.
Dramma borghese, quindi, ma anche distruzione dell’idea della famiglia tradizionale, qualcuno ha urlato al film femminista (ma io non ho capito perché, in quanto questa tematica, a mio avviso, non viene minimamente toccata). Affermo invece, che “Anatomia di una caduta” è un gran bel film, ricco di spunti di riflessione che reinterpreta il genere thriller, elevandolo a qualcosa di più elegante, raffinato, criptico e molto, molto intelligente.
Piccolo plauso va al cane Snoop che, per la sua interpretazione, ha vinto il Palm Dog a Cannes (sì, esiste veramente.): non è solo un elemento di decoro ma è anche l’unico personaggio che conosce la verità poiché con i suoi occhi (appannati e acquosi come quelli di Daniel, azzurri e opachi ma, ahimè, perfettamente vedenti) ha potuto vedere l’incidente e chissà quante altre cose…
La verità, quindi, è nascosta nell’anima di un cane ma esiste anche una verità soggettiva, fatta di ferite, di non detti, di paure che giace all’interno di Daniel, il figlio di due genitori problematici, il frutto di un amore targato XXI secolo.
Tra il libro e il film ho sempre preferito il libro, per questo cerco sempre di guardare serie tv con sceneggiatura originale. Più son truci e meglio è, perché l'unico modo per combattere il Male è attraverso la sua conoscenza. Se mi cercate, non mi troverete mai al cinema nelle sale dei film strappalacrime. Molto meglio gli horror e tanti, tanti pop corn!